venerdì 9 marzo 2007

Il meridiano

Le Giussani raccontate in un nuovo libro
che fa rivivere le loro imprese alla Diabolik

Roma. Angela e Luciana, due sorelle dalla mente diabolica, mettono in atto un colpo inaspettato nell’Italia degli anni ’60, cogliendo di sorpresa una società che mai avrebbe creduto due donne capaci di una cosa simile: dare vita nientemeno che al re del crimine, Diabolik. Le sorelle Giussani, due vite trascorse all’ombra del ladro diventato in poco tempo il più imitato del fumetto italiano. Ma chi erano e da dove provenivano queste audaci signore? Qual è stata la loro vita prima e dopo l’arrivo di Diabolik? Questi ed altri quesiti trovano risposta ne “Le regine del terrore”, opera ultima del giornalista Davide Barzi e dello sceneggiatore Tito Faraci, Bd edizioni. Il volume, uscito lo scorso febbraio, ripercorre la vita di queste due belle biondone della Milano bene che si tuffano, Angela per prima, nell’ardita idea di portare nelle tasche dei pendolari che ogni giorno vede dalla finestra, un giallo pieno di suspense, un tascabile veloce da leggere e avvincente, con protagonista un criminale spietato che alla fine la spunta sempre. Un’idea sicuramente folle per l’epoca, siamo nel ’62, per giunta portata avanti da una donna, già fonte di scandali per il suo modo disinvolto di porsi nel campo della moda. Una scommessa, che in poco tempo si consolida in uno strepitoso successo editoriale, non senza qualche grana censoria, specchio di un’Italia ancora troppo bacchettona per farsi affascinare da un inafferrabile criminale con gli occhi di Robert Taylor. Da quel lontano primo novembre, giorno perfetto per il debutto nelle edicole, ad oggi sono trascorsi 45 anni e Diabolik, nonostante la persecuzione dell’ispettore Ginko, gode di perfetta salute, con tre uscite mensili, oltre ad alcuni albi speciali. Un fumetto che ha saputo rinnovarsi, senza perdere di vista la sua essenza primordiale, una base solida in grado di assorbire al suo interno decenni di cambiamenti, di tenersi al passo con l’evoluzione sociale, la modernizzazione tecnologica e i mutamenti estetici del paese. L’aspetto stesso di Diabolik va in questa direzione. Inizialmente trovavamo questo losco figuro aggirarsi per i sotterranei della città, un ladro dall’istinto omicida, chiuso in un corpo poco lineare, piccolo, tarchiato, con una tuta nera che lasciava scoperto solo un algido sguardo metallico. Un mostro. Successivamente, col passare del tempo, il fisico del ladro di Clerville si fa sempre più scolpito, slanciato, con una definizione muscolare che emerge dalla sua tuta da lavoro, un Diabolik palestrato e affascinante da far invidia ai bellimbusti hollywoodiani. La sua amata compagna, invece, bella era nel terzo numero, quando per la prima volta incontra il suo lui, e bella è oggi. Lo scorrere degli anni per Eva Kant si percepisce soltanto attraverso il suo look, dai pantaloni a zampa di qualche decennio fa alle magliettine attillate di oggi sopra l’ombelico. Ma anche le nuove tecnologie fanno il loro ingresso nel fumetto, telefonini, computer e tutto l’armamentario hi-tech vanno ad integrare il corredo di “diavolerie” che Diabolik si porta dietro da sempre, una serie di ingegnosi supporti per furti, uccisioni e depistaggi, degni del James Bond più riuscito. Soltanto le maschere, l’asso nella manica che fa la differenza in tutti i colpi messi a segno, non hanno ancora trovato un corrispettivo nel mondo reale. Anche l’altro versante, quello del “bene”, registra qualche aggiustamento, la prestanza fisica dell’ispettore Ginko riflette le stesse ore di palestra del suo rivale, mentre per la sua eterna fidanzata, Altea, il mutare dei tempi si fa più evidente con la perdita del suo titolo nobiliare, duchessa di Vallenberg, e la sua conseguente discesa nel mondo dei comuni mortali. Aspetti, tutti questi, più o meno rilevanti, testimoni di un intenzione che non vuole rinchiudere i suoi personaggi in un recinto dorato consacrato dal successo, ma tener fede al testamento lasciato da Luciana, l’ultima scomparsa delle due sorelle, “Lunga vita a Diabolik”.

(Ivano Cammarota, Il Meridiano, 6 marzo 2007)

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