Quattro chiacchiere con Davide Barzi su Angela e Luciana Giussani, le due ragazze milanesi che inventarono Diabolik, il Re del Terrore
di Andrea Ferrari
(da Fumo di China del maggio 2007)
Diabolik lo conosciamo tutti, le sue inventrici, forse no. Per rimediare esce Le Regine del Terrore, di Davide Barzi con Tito Faraci (Edizioni BD), il racconto appassionato della vicenda, professionale e umana, che portò alla nascita del criminale più temuto di Clerville. Approfittiamo dell’occasione per approfondire la questione con Barzi, sceneggiatore, studioso e divulgatore del mondo del fumetto.
Dunque, un libro sulle sorelle Giussani: come sei arrivato a scriverlo? O meglio, era tanto che lo meditavi, o è stata la tipica storia incontrata per caso che diventa una folgorazione?
Colpo di fulmine, ma non ho fatto io il primo passo. Quando Marco Schiavone e Tito Faraci hanno pensato a me per un libro che proseguisse la loro collana di saggistica “storiedisegni”, mi hanno fatto due proposte chiedendomi di ragionarci e poi far loro sapere se e a cosa ero interessato. Invece la risposta è stata immediata: Angela e Luciana Giussani erano un argomento troppo appetibile perché me lo lasciassi sfuggire. E poi era dal mio primo libro, datato ormai 2001, che pensavo a una formula editoriale che potesse far arrivare il fumetto al di fuori del fumetto. Questo poteva essere, banalmente, il libro che avrei sempre voluto leggere e nessuno mi aveva mai scritto. Una sfida, che come tale ha avuto anche i suoi momenti di sconforto: su alcuni aspetti della loro vita sembrava davvero fossero state bravissime a far calare il mistero. È stata un’indagine in piena regola, ma alla fine, attraverso i testimoni giusti, penso di esserne venuto a capo.
In questa indagine ti ha dato una mano Tito Faraci, che come sceneggiatore non ha certo bisogno di presentazioni. Com'è stato lavorare con lui su un progetto del genere?
In realtà siamo una coppia abbastanza rodata. Su di lui e in parte con lui avevo già realizzato il libro Per scrivere fumetti e alcune altre operazioni editoriali. Tito, è vero, come sceneggiatore non ha certo bisogno di presentazioni, ma anche come teorico e storico del medium fumetto ha delle carte da giocare. Così, nonostante in diverse fasi del lavoro mi abbia lasciato carta bianca, ha saputo puntellare il lavoro con consigli e suggerimenti decisamente preziosi.
Il libro ha più il respiro del romanzo biografico che del saggio, trovando un brillante equilibrio tra parte narrata e parte analitica. Per certi versi è proprio il racconto il vero strumento di analisi. Quando hai capito che si poteva dargli un taglio fortemente narrativo, quasi cinematografico? Una scelta fatta a tavolino e una necessità nata lavorandoci sopra?
Il taglio narrativo era una delle condizioni necessarie perché il libro risultasse piacevole da leggere anche per chi non cerca l’enorme mole di dati che comunque contiene. La scelta del montaggio cinematografico è venuta quasi subito, quand’ero ancora in fase di raccolta dati. Si trattava solo di trovare il punto chiave da cui far partire e attorno a cui far ruotare tutta la vicenda. Avevo un po’ di timore quando l’ho proposto la prima volta agli editori, invece devo dire che è stata accolta con entusiasmo. Anche perché Tito è un narratore puro e una scelta narrativa sensata non poteva che trovare il suo accordo. La sfida vera era quella di creare a posteriori un montaggio diacronico degli eventi che però fosse giustificato, non pretestuoso, e che non forzasse la realtà storica.
Alla fine come momento cornice hai scelto lo scontro finale coi grandi nemici di questa storia, la censura e il codice dell'Associazione Italiana Periodici per Ragazzi, con le Giussani in tribunale che aspettano la sentenza che potrebbe mettere la parola fine alla loro avventura. Strano però che proprio un fumetto come Diabolik, destinato a rivolgersi a un pubblico abbastanza maturo, debba confrontarsi con una censura pensata per tutelare i ragazzi. Anzi, forse la grande intuizione di Angela è stata proprio quella di creare un fumetto popolare che potesse interessare anche a un pubblico adulto.
In effetti l’idea che i fumetti siano solo e soltanto una lettura per bambini ha radici profondissime nella nostra cultura, radici per la prima volta messe in discussione proprio grazie a Diabolik. Nelle loro strategie di marketing intuitive e ruspanti ma sbalorditivamente efficaci, Angela e Luciana hanno di fatto creato un target. Forse non individuato a priori, ma ottenuto grazie a scelte coraggiose e a una successiva sorta di selezione naturale.
Quanto credi che il ritmo sostenuto, la necessità di sfornare storie a getto continuo, di qualità ma prodotte in fretta, abbiano contribuito a creare quell'ossatura narrativa tipica, ancora oggi, di Diabolik?
In maniera sostanziale, direi. Ottimizzare gli sforzi di tutti è sempre stata una necessità, soprattutto negli anni in cui il giro dei collaboratori era alquanto limitato. Da qui nascono i soggetti realizzati sommando diversi spunti e idee, eppure perfettamente logici e coerenti. Da qui lo stile grafico senza fronzoli, che però ha saputo dare spazio a importanti rivoluzioni stilistiche come quelle operate da Facciolo e Zaniboni.
Cronologicamente, il cuore della storia è negli anni Sessanta. Anzi, la nascita di Diabolik copre praticamente tutto il decennio. Un periodo di fermento, forse per tutto il fumetto italiano. Com'era la scena al di fuori dell'Astorina?
Beh, intanto, come ampiamente raccontato nel libro, fuori dall’Astorina c’è stato per tutto il decennio chi dall’Astorina “prendeva spunto”, quindi tutti i fumetti neri. Poi, nel 1966 Renzo Barbieri lancia Goldrake e Isabella aprendo in qualche modo un nuovo fronte su cui si abbatteranno i benpensanti: il fumetto erotico e più avanti pornografico. Ma a parte questi fenomeni, continua la produzione a 360°, perché il fumetto funziona, vende, è un mercato in cui si buttano in tanti e da cui tanti traggono soddisfazioni economiche. E, come il cinema degli anni d’oro, soddisfa tutti i generi e filoni. Nel 1965 nasce Valentina, che in qualche modo anticipa la “rivoluzione erotica”, nel 1968 Valentina Melaverde, Cattivik e le Sturmtruppen, l’anno dopo Alan Ford. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti, con creazioni originali e l’automatico seguito di cloni di quasi tutti i personaggi che funzionano.
La storia che racconti, per certi versi, è una storia pionieristica, l'avventurosa esplorazione di un territorio sconosciuto. Anzi, l'invenzione di quel territorio. Credi che adesso una cosa del genere sarebbe possibile? Ci sono ancora territori da inventare e mancano i pionieri, o la cartina è tutta disegnata e bisogna fare a pugni per entrarci?
Territori da esplorare pochi, certo molti meno di un tempo. Spazi piccoli o grandi da conquistare ce ne sono, ma è più dura di quarant’anni fa. Allora, con un po’ di ingenuità ed incoscienza, ci si poteva avventurare senza rischiare poi così tanto. Oggi, se non sei molto ben equipaggiato, rischi di soccombere. Fuor di metafora, oggi c’è maggior coscienza del mestiere (che sia quello di editore o di autore), forse un po’ di pancia in meno e un po’ di calcolo in più, ma non ti puoi permettere di improvvisare. Che da un lato va bene perché la media della produzione è molto più professionale, da un lato limita un po’ gli spazi di sperimentazione. Un tempo il tirocinio coincideva con il primo ingresso nel mondo del lavoro, e alcuni Autori oggi riconosciuti tali hanno avuto esordi tra l’improvvisato e l’imbarazzante. Oggi la formazione si può fare solo ai margini, spesso senza un guadagno immediato, e si può entrare nel giro dei professionisti solo quando si è effettivamente tali. Cosa che può anche scoraggiare i nuovi talenti.
C'è uno strano paradosso, una contraddizione interna alla storia di Angela e Luciana: due sorelle moderne, avanti rispetto ai loro tempi, belle donne frequentatrici dei salotti più in vista di Milano, eppure per trovare una reale autonomia si sono inventate un lavoro di trincea, defilato, da seconde linee come quello di una redazione editoriale. Per di più scrivendo un fumetto mal visto dai benpensanti...
Non penso che l’avventura editoriale sia nata dalla necessità di mostrare niente a nessuno. Non amavano stare in vista. Se proprio qualcuno doveva essere sotto i riflettori, hanno sempre preferito che fosse Diabolik, e non loro due. Lo dimostra il fatto che il personaggio lo conoscono tutti; chi l’ha inventato, invece, molti lo scoprono solo ora dal libro. L’autonomia sì, è sempre stata una necessità, il successo fine a se stesso no.
Che ti sia innamorato della storia e dei personaggi, anche di quelli antipatici, di cui scrivevi si capisce, però un difetto le sorelle Giussani l'avranno pur avuto...
Certo che l’hanno avuto, e nasce proprio da un dei pregi che tutte le persone intervistate hanno messo in luce. Erano estremamente generose e, se si fidavano di qualcuno, lo facevano in maniera incondizionata. Ed è normale che, nel giro di qualche decennio, qualcuno che ne ha approfittato ci sia anche stato. Ma sono vicende (per fortuna poche e circostanziate) di una tale pochezza umana, che in una così grande storia non avevano il diritto di entrare.
7 commenti:
Jeri a Firenze ho comprato il tuo libro, finalmente!!! Non vedo l'ora di finire quello che sto leggendo e iniziare il tuo che mi guarda dal comodino e mi dice "leggimi leggimi".
Un bacio!!
prima le cose serie:
fai un salto sul blog del momento, commenta e magari posta una storia!
http://www.piccolemorti.splinder.com/
ti dico solo questo:
Piccole storie di piccole morti - racconti brevi di persone comuni che muoiono...
eppoi che belle frequentatrici ci sono qui... chi è mylla per esempio?
Mylla, dimmi chi arriva prima di me nella classifica dei libri da leggere, così capisco se mi devo offendere o no...
Sandro, accorro subito sul blog che mi hai indicato! Quanto alla tua domanda, Mylla è... beh, quale modo migliore di saperlo che non visitando il suo blog? (Mylla, mi devi dieci euro per la pubblicità)
bene il blog di mylla è già nei miei preferiti. Ma quanto a Motel? Una copia come faccio ad averla e poi per averla devo rinunciare al rene sinistro o a quello destro?
Non e' che la rottura del tuo hard disk e' simulata per nascondere tutte le tue donazioni all'Opus Dei...e oltre?
Vero
Le copie di Motel le ho richieste a chi di dovere, attendiamo fiduciosi. I reni tienili lì, che magari tornano utili più avanti. Io li scambierei almeno per un cartonato, dai!
In realtà, Vero, mi hai scoperto: l'hard disk non l'ho rotto.
L'ho donato all'opus dei.
@ Sandro: ti ringrazio per la tua attenzione verso il mio blog,inizia allora a lasciar commenti. Di te invece non si sa niente, scheda vuota. Mariuolo!
@ Davide: ho finito oggi il libro che stavo leggendo e che non ho messo come aggiornamento nel blog, vedi "sul comodino di Mylla", causa impegni mi sto assentando un po' troppo = ( Ora aggiorno e spiffero al mondo che sul mio comodino ci sei tu =D
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