ANGEL DE LA CALLE E PACO IGNACIO TAIBO
Ventincinque edizioni della Semana Negra
e continuiamo, per la gioia di molti e a dispetto di pochi, con un festival che, già da molti anni, si è dichiarato ribelle. Lo sanno bene i pochi a cui diamo fastidio, quelli che non sopportano il connubio di cultura e festa popolare che noi invece abbiamo difeso fin dalla nascita, e al quale non rinunceremo mai; non ci convertiremo in un festival bianco, decaffeinato, senza detrattori o nemici, ma anche senza passione, senza entusiasmo, senza impegno. Non è questo che vogliamo per la Semana Negra. Vorremmo proseguire dimostrando che la cultura non ha nulla di noioso e che la festa può, e deve, far parte di essa. Non è facile mantenere un equilibrio in questa combinazione di festival letterario internazionale di prima qualità ed enorme festa popolare, ma noi, anno dopo anno, ci battiamo per riuscirci. Abbiamo molti e buoni motivi per farlo e uno dei più importanti è la necessità di rendere la cultura accessibile a tutti, portarla sotto casa, tirarla fuori dai recinti sacri nei quali l'establishment della noia per vocazione la mantiene prigioniera, per mostrare come la cultura e il divertimento possono essere una coppia perfetta se ci liberiamo dai rigidi schemi nei quali ci hanno educato. Che senso hanno le vecchie formule che pretendono di chiudere la letteratura in circuiti minoritari? Porteremo avanti il nostro incarico di sorprendere attraverso le possibilità di contaminazione e fuggiremo dalla reiterazione, dalla spossatezza e dalla routine. Proveremo che si può tenere un libro con la mano sinistra, mangiando i churros con la destra e che il sapore dei churros migliora e con essi anche quello del libro. Quando è nato questo festival meticcio che è la Semana Negra, nel 1988, la parola che circolava di più, alimentata e retrobombardata dai media, era crisi. Al tempo la si sentiva insieme al termine riconversione. Nell'anno 2012 la parola crisi torna a batterci ogni giorno nelle orecchie, ma adesso viene accompagnata da altre parole, pronunciate con spossatezza, come ripresa (alcuni dicono linea di credito), tagliare, ridurre, diminuire, eliminare, contribuire, flessibilizzare... Non lasciamo che le parole ci sottomettano, o almeno non queste parole; sappiamo cosa si nasconde dietro di loro: licenziamenti, povertà e, soprattutto, persone – e non numeri – che soffrono a causa loro. Alla Semana Negra vogliamo essere coerenti e affronteremo la crisi con immaginazione. In tempi bui la letteratura sembra essere l'unico luogo dove si produce un pensiero critico e un pensiero utopico. Dove naufraga la geografia, la letteratura scopre paesaggi, nuove frontiere, atmosfere urbane. Dove la politica inventa nomi e cifre, il romanzo scopre nuove classi sociali, spiega e racconta la vita quotidiana. Dove l'economia sembra analizzare, il romanzo narra ciò che significa un licenziamento, la riduzione dello stipendio, la miseria. Dove l'informazione genera rumore mediatico, il romanzo crea piani narrativi, profondità, soggettività. Il mondo è diventato più complesso e la letteratura è in grado di raccontarlo. Ogni anno ci chiedono quale sia il tema della Semana Negra. Non abbiamo mai una sola risposta. La Semana Negra è un festival poliedrico e, al di là della sua costante commistione di festa e cultura letteraria, non ha un tema, ma molti. I temi sono stati e sono quelli che ci ispirano ed emozionano. E poi c'è musica, mercatini, attrazioni, terrazze e, soprattutto, la vita.
Da La Repubblica di venerdì 13 luglio, traduzione di Alice Farina (Gli autori sono direttori della Semana Negra di Gijon. L'ultimo libro di Paco Ignacio Taibo II pubblicato in Italia da Marco Tropea è Ritornano le tigri della Malesia)
La Semana negra è a Gijon, in Spagna, fino al 15 luglio; il manifesto è di Jacques De Loustal
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