Scopro da afnews: "Il 24 giugno scorso è scomparso a Roma Giovanni Boselli Sforza. Maestro del fumetto, nato a L'Asmara nel 1924, ha creato per Il Giornalino, settimanale per ragazzi dei Periodici San Paolo, tantissimi personaggi - come Bellocchio e Leccamuffo, Gec Sparaspara, Pachito Olè, Susy la rossa, Dodo & Cocco - cari ai ragazzi di tutte le età."
Io con i suoi fumetti sono cresciuto. Erano una piccola oasi non disneyana nel fumetto umoristico nostrano, che ha continuato strenuamente a vivere anche quando gli altri personaggi umoristici italiani segnavano il passo.
Non ci siamo mai visti, ma ci siamo parlato al telefono più volte. Grande, grandissima umanità. Da quelle chiacchierate è uscito un articolo pubblicato nel 2002 sul numero 12 di if. Un articolo per cui è andato avanti non so quando a farmi i complimenti.
Ve lo ripropongo (o propongo per la prima volta). È un po’ lungo, ma – credo – piuttosto esaustivo.
Questo era Giovanni Sforza Boselli…
Per far capire Giovanni Sforza Boselli a chi non lo conosce, ci fermeremo all’ABC.
A come Animali (ma anche Africa). Boselli nasce ad Asmara, in Eritrea, nel 1924, e lì trascorre i primi dieci anni della sua vita. Senza fumetti. Il suo passatempo preferito, in quel periodo, è stare in mezzo agli animali. Nasce così una passione che probabilmente non è seconda nemmeno a quella per il disegno. Chiedere conferma ai sei gatti e alla cagnolina Dodina, attuali coinquilini suoi e di sua moglie. Nel 1934 si trasferisce a Roma e conosce Topolino, Cino e Franco, i personaggi di Alex Raymond e delle testate Corriere dei piccoli e L’avventuroso. Inizia gli studi da ingegnere, ma la passione per il disegno, è troppo forte. Inizia così a collaborare con vari giornali umoristici come il Marc’Aurelio, per il quale produce vignette di taglio caricaturale/satirico, l’anticlericale Don Basilio e L’umorista, per il quale oltre alle vignette realizza le copertine a colori. Mostra grande versatilità realizzando cover in stile realistico per le testate Buffalo Bill e Aquila bianca.
B come Blasetti (ma anche Bambola). Sul periodico Bambola, dedicato alle bambine fino agli otto anni, Boselli comincia a realizzare fumetti veri e propri. Capisce che la vena umoristica è quella a lui più congeniale e concentra la sua attenzione su questo stile, collaborando anche a Lupettino e alla storica testata Il Vittorioso. è lavorando a Il Corrierino e a Il Ponte d’oro, però, che incontra lo sceneggiatore che formerà con lui una consolidata coppia creativa che sforna a getto continuo storie e personaggi da diversi decenni, Corrado Blasetti. Il loro sodalizio, però, non si ferma ai fumetti: nel 1964 Boselli illustra il libro per ragazzi di Blasetti Placido, primo di una serie di otto che i due realizzeranno insieme (e nei quali Boselli utilizza per la prima volta la tecnica dei pastelli a cera), tra cui va sicuramente ricordato Muz Beipomelli, autore di fumetti (Marino Fabbri Editore, Roma, 1978), che è in realtà una biografia “non ufficiale” dello stesso Boselli. All’interno del libro, naturalmente, grande spazio per gli animali, tra cui l’affezionatissimo cane Dodo. La sterminata galleria di personaggi creati dal disegnatore nato ad Asmara si arricchisce nel frattempo di Joe Felix (un gatto ispirato al Felix di Pat Sullivan), Gracchio Reporter, Mini Penna, Babuino, Cesare Usbergo topo d’albergo, Remo poliziotto mezzo scemo e Dinamite Joe. I testi degli ultimi due sono di Italo Di Domenico, autore che aveva abbandonato gli studi di medicina per dilettarsi in poesia romanesca e scrivere fumetti.
C come Cinema (ma anche Cartoni animati). Nel 1968 arriva la prima e unica esperienza nel campo del disegno animato. Boselli realizza con l’Istituto Luce una serie di cortometraggi per il ministero delle poste e per il ministero dei lavori pubblici, fatti per insegnare il codice di avviamento postale e le regole base del codice stradale. Da questa esperienza e dal suo amore per il cinema d’azione americano desume il senso della fluidità e del movimento che diventano una peculiarità delle sue tavole. “Non mi piace la staticità teatrale, ma la velocità cinematografica”, dichiara lapidario. Ha un breve ritorno allo stile realistico (ma dovuto solo al fatto che gli chiedono di disegnare i suoi amati animali) quando esegue per la Motta Editore tavole sinottiche a tempera per un’enciclopedia sul mondo della natura. Nel 1970 arriva alla redazione romana del Giornalino, prima che questa si trasferisse a Cuneo e poi a Milano. Questo dopo essersi velocemente cosparso il capo di cenere per la collaborazione al Don Basilio (questione su cui in realtà il direttore di allora si fa delle gran risate). Il primo personaggio, su testi di Mario Basari (ex direttore de Il Vittorioso), è Gec Sparaspara, il “nemico pubblico numero un milione”. Nonostante il dichiarato amore per il Dick Tracy di Chester Gould, affronta il genere gangsteristico con uno stile completamente diverso, con un segno che parrebbe influenzato dalla scuola franco-belga anche se il disegnatore dice di aver sempre fatto molto più riferimento ai grandi autori dell’umorismo statunitense come Winsor McCay e Rudolph Dirks. È sempre Basari a scrivere per lui Susy la rossa e Pachito Olé. I due realizzano in coppia anche una serie di piccoli testi in prosa illustrati, I racconti del giardino. Nel frattempo Boselli presenta in redazione Blasetti, che comincia a collaborare con la testata scrivendo dei racconti. Nel giro di pochi mesi, però, il disegnatore chiede all’amico di creare dei personaggi per lui. Nascono così Bellocchio e Leccamuffo, protagonisti di una serie ambientata “tra l’alto e il basso medioevo”, due servi della gleba vessati dai padroni e da più o meno chiunque incontrino. “Abbiamo preso così tante fregature nel corso del nostro cammino, che praticamente non abbiamo fatto altro che incarnarci in questi due poveri disgraziati”, confessa Boselli. Resistono invece alla tentazione di rifare i personaggi sulle proprie fattezze fisiche. “Noi siamo molto più brutti! Non abbiamo avuto l’ardire!” Nel 1972 la coppia di autori romani crea il Signor Beniamino, una specie di Jacques Tati a fumetti, un uomo sostanzialmente solo, sfortunato e bisognoso d’affetto che vive in compagnia di gatti e uccellini. Nel 1980 Boselli tocca di nuovo, anche se tangenzialmente, il mondo dei cartoni animati: disegna infatti un fumetto tratto da un famoso cartoon giapponese, Charlotte, per la rivista Cartoni in TV.
Detto questo, per saldare bene i tre concetti cardine su cui si basa questa lettura dell’opera di Boselli, si ripassa di nuovo l’ABC
A come Animali. Nel 1986 torna a scriversi da sé e per sé una serie, Dodo e Cocco, che ha per protagonisti un cane (che prende il nome del suo cucciolo già “immortalato” in Muz Beipomelli) e un simpatico bambino biondo. La serie ha chiari intenti educativi, eppure si mostra sempre fresca e divertente. Nel 1995 è la volta di un altro animale, Topo Leonardo. I testi sono di Giuseppe Ramello, alla sua prima e già convincente prova su un fumetto umoristico. Quando lo sceneggiatore presenta un progetto su un topo inventore che abita nella casa di Leonardo Da Vinci (ripercorrendone in qualche modo le gesta), la scelta del direttore don Tom Mastrandrea cade quasi automaticamente su chi per anni ha disegnato storie in costume. Boselli si trova così ad avere che fare con strani marchingegni e automobili avveneristiche ma che si dimostrino plausibili in un contesto rinascimentale. Lo spunto arriva probabilmente dal lungometraggio Basil l’investigatopo, dove un sorcio abita nella casa di Sherlock Holmes e si comporta come il più famoso inquilino umano.
B come Blasetti. Nel 1997 tornano Bellocchio e Laccamuffo. O meglio, arrivano i loro posteri. Per evitare il rischio routine, infatti, Boselli e Blasetti riprendono i due personaggi e lo spirito della serie, ma la trasportano negli Stati Uniti nei primi anni del ventesimo secolo, mettendoli al cospetto di bande di gangster, dellle prime automobili e dei primi anni di vita del cinema. Non potendo giustificare in altro modo questo arbitrario salto temporale, i Bellocchio e Leccamuffo moderni vengono presentati come i pronipoti degli originali.
C come Cinema. Da amante dei film americani, Boselli non poteva non arrivare, prima o poi, al genere western. Per la rivista canadese Video Presse, assieme e Blasetti crea inizialmente Alexis Le Trotter, storia ambientata nel Quebec che narra le vicende di un bizzarro personaggio realmente esistito tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti. il west, però, è dietro l’angolo. Parlando di America e di quel periodo storico, nasce quasi da sé la serie Quelli del west, prima pubblicata sulla testata canadese e dal 1998 tradotta anche sul Giornalino.
Ora molte delle serie citate appaiono a rotazione sulla rivista della Società San Paolo. Bellocchio e Leccamuffo, addirittura, viaggiano su binari temporali paralleli: per prevenire la noia, la rinomata ditta B&B realizza infatti una storia con i posteri e una con gli originali. E molti personaggi sono ancora in cantiere, così come molti dei “vecchi” premono per tornare a vivere. “Manca solo il tempo necessario per accontentarli tutti!”, dice un po’ sconsolato Boselli.
Io con i suoi fumetti sono cresciuto. Erano una piccola oasi non disneyana nel fumetto umoristico nostrano, che ha continuato strenuamente a vivere anche quando gli altri personaggi umoristici italiani segnavano il passo.
Non ci siamo mai visti, ma ci siamo parlato al telefono più volte. Grande, grandissima umanità. Da quelle chiacchierate è uscito un articolo pubblicato nel 2002 sul numero 12 di if. Un articolo per cui è andato avanti non so quando a farmi i complimenti.
Ve lo ripropongo (o propongo per la prima volta). È un po’ lungo, ma – credo – piuttosto esaustivo.
Questo era Giovanni Sforza Boselli…
Per far capire Giovanni Sforza Boselli a chi non lo conosce, ci fermeremo all’ABC.
A come Animali (ma anche Africa). Boselli nasce ad Asmara, in Eritrea, nel 1924, e lì trascorre i primi dieci anni della sua vita. Senza fumetti. Il suo passatempo preferito, in quel periodo, è stare in mezzo agli animali. Nasce così una passione che probabilmente non è seconda nemmeno a quella per il disegno. Chiedere conferma ai sei gatti e alla cagnolina Dodina, attuali coinquilini suoi e di sua moglie. Nel 1934 si trasferisce a Roma e conosce Topolino, Cino e Franco, i personaggi di Alex Raymond e delle testate Corriere dei piccoli e L’avventuroso. Inizia gli studi da ingegnere, ma la passione per il disegno, è troppo forte. Inizia così a collaborare con vari giornali umoristici come il Marc’Aurelio, per il quale produce vignette di taglio caricaturale/satirico, l’anticlericale Don Basilio e L’umorista, per il quale oltre alle vignette realizza le copertine a colori. Mostra grande versatilità realizzando cover in stile realistico per le testate Buffalo Bill e Aquila bianca.
B come Blasetti (ma anche Bambola). Sul periodico Bambola, dedicato alle bambine fino agli otto anni, Boselli comincia a realizzare fumetti veri e propri. Capisce che la vena umoristica è quella a lui più congeniale e concentra la sua attenzione su questo stile, collaborando anche a Lupettino e alla storica testata Il Vittorioso. è lavorando a Il Corrierino e a Il Ponte d’oro, però, che incontra lo sceneggiatore che formerà con lui una consolidata coppia creativa che sforna a getto continuo storie e personaggi da diversi decenni, Corrado Blasetti. Il loro sodalizio, però, non si ferma ai fumetti: nel 1964 Boselli illustra il libro per ragazzi di Blasetti Placido, primo di una serie di otto che i due realizzeranno insieme (e nei quali Boselli utilizza per la prima volta la tecnica dei pastelli a cera), tra cui va sicuramente ricordato Muz Beipomelli, autore di fumetti (Marino Fabbri Editore, Roma, 1978), che è in realtà una biografia “non ufficiale” dello stesso Boselli. All’interno del libro, naturalmente, grande spazio per gli animali, tra cui l’affezionatissimo cane Dodo. La sterminata galleria di personaggi creati dal disegnatore nato ad Asmara si arricchisce nel frattempo di Joe Felix (un gatto ispirato al Felix di Pat Sullivan), Gracchio Reporter, Mini Penna, Babuino, Cesare Usbergo topo d’albergo, Remo poliziotto mezzo scemo e Dinamite Joe. I testi degli ultimi due sono di Italo Di Domenico, autore che aveva abbandonato gli studi di medicina per dilettarsi in poesia romanesca e scrivere fumetti.
C come Cinema (ma anche Cartoni animati). Nel 1968 arriva la prima e unica esperienza nel campo del disegno animato. Boselli realizza con l’Istituto Luce una serie di cortometraggi per il ministero delle poste e per il ministero dei lavori pubblici, fatti per insegnare il codice di avviamento postale e le regole base del codice stradale. Da questa esperienza e dal suo amore per il cinema d’azione americano desume il senso della fluidità e del movimento che diventano una peculiarità delle sue tavole. “Non mi piace la staticità teatrale, ma la velocità cinematografica”, dichiara lapidario. Ha un breve ritorno allo stile realistico (ma dovuto solo al fatto che gli chiedono di disegnare i suoi amati animali) quando esegue per la Motta Editore tavole sinottiche a tempera per un’enciclopedia sul mondo della natura. Nel 1970 arriva alla redazione romana del Giornalino, prima che questa si trasferisse a Cuneo e poi a Milano. Questo dopo essersi velocemente cosparso il capo di cenere per la collaborazione al Don Basilio (questione su cui in realtà il direttore di allora si fa delle gran risate). Il primo personaggio, su testi di Mario Basari (ex direttore de Il Vittorioso), è Gec Sparaspara, il “nemico pubblico numero un milione”. Nonostante il dichiarato amore per il Dick Tracy di Chester Gould, affronta il genere gangsteristico con uno stile completamente diverso, con un segno che parrebbe influenzato dalla scuola franco-belga anche se il disegnatore dice di aver sempre fatto molto più riferimento ai grandi autori dell’umorismo statunitense come Winsor McCay e Rudolph Dirks. È sempre Basari a scrivere per lui Susy la rossa e Pachito Olé. I due realizzano in coppia anche una serie di piccoli testi in prosa illustrati, I racconti del giardino. Nel frattempo Boselli presenta in redazione Blasetti, che comincia a collaborare con la testata scrivendo dei racconti. Nel giro di pochi mesi, però, il disegnatore chiede all’amico di creare dei personaggi per lui. Nascono così Bellocchio e Leccamuffo, protagonisti di una serie ambientata “tra l’alto e il basso medioevo”, due servi della gleba vessati dai padroni e da più o meno chiunque incontrino. “Abbiamo preso così tante fregature nel corso del nostro cammino, che praticamente non abbiamo fatto altro che incarnarci in questi due poveri disgraziati”, confessa Boselli. Resistono invece alla tentazione di rifare i personaggi sulle proprie fattezze fisiche. “Noi siamo molto più brutti! Non abbiamo avuto l’ardire!” Nel 1972 la coppia di autori romani crea il Signor Beniamino, una specie di Jacques Tati a fumetti, un uomo sostanzialmente solo, sfortunato e bisognoso d’affetto che vive in compagnia di gatti e uccellini. Nel 1980 Boselli tocca di nuovo, anche se tangenzialmente, il mondo dei cartoni animati: disegna infatti un fumetto tratto da un famoso cartoon giapponese, Charlotte, per la rivista Cartoni in TV.
Detto questo, per saldare bene i tre concetti cardine su cui si basa questa lettura dell’opera di Boselli, si ripassa di nuovo l’ABC
A come Animali. Nel 1986 torna a scriversi da sé e per sé una serie, Dodo e Cocco, che ha per protagonisti un cane (che prende il nome del suo cucciolo già “immortalato” in Muz Beipomelli) e un simpatico bambino biondo. La serie ha chiari intenti educativi, eppure si mostra sempre fresca e divertente. Nel 1995 è la volta di un altro animale, Topo Leonardo. I testi sono di Giuseppe Ramello, alla sua prima e già convincente prova su un fumetto umoristico. Quando lo sceneggiatore presenta un progetto su un topo inventore che abita nella casa di Leonardo Da Vinci (ripercorrendone in qualche modo le gesta), la scelta del direttore don Tom Mastrandrea cade quasi automaticamente su chi per anni ha disegnato storie in costume. Boselli si trova così ad avere che fare con strani marchingegni e automobili avveneristiche ma che si dimostrino plausibili in un contesto rinascimentale. Lo spunto arriva probabilmente dal lungometraggio Basil l’investigatopo, dove un sorcio abita nella casa di Sherlock Holmes e si comporta come il più famoso inquilino umano.
B come Blasetti. Nel 1997 tornano Bellocchio e Laccamuffo. O meglio, arrivano i loro posteri. Per evitare il rischio routine, infatti, Boselli e Blasetti riprendono i due personaggi e lo spirito della serie, ma la trasportano negli Stati Uniti nei primi anni del ventesimo secolo, mettendoli al cospetto di bande di gangster, dellle prime automobili e dei primi anni di vita del cinema. Non potendo giustificare in altro modo questo arbitrario salto temporale, i Bellocchio e Leccamuffo moderni vengono presentati come i pronipoti degli originali.
C come Cinema. Da amante dei film americani, Boselli non poteva non arrivare, prima o poi, al genere western. Per la rivista canadese Video Presse, assieme e Blasetti crea inizialmente Alexis Le Trotter, storia ambientata nel Quebec che narra le vicende di un bizzarro personaggio realmente esistito tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti. il west, però, è dietro l’angolo. Parlando di America e di quel periodo storico, nasce quasi da sé la serie Quelli del west, prima pubblicata sulla testata canadese e dal 1998 tradotta anche sul Giornalino.
Ora molte delle serie citate appaiono a rotazione sulla rivista della Società San Paolo. Bellocchio e Leccamuffo, addirittura, viaggiano su binari temporali paralleli: per prevenire la noia, la rinomata ditta B&B realizza infatti una storia con i posteri e una con gli originali. E molti personaggi sono ancora in cantiere, così come molti dei “vecchi” premono per tornare a vivere. “Manca solo il tempo necessario per accontentarli tutti!”, dice un po’ sconsolato Boselli.
5 commenti:
Che nostalgia :-(
Bell'articolo, Davide. Non ho conosciuto Boselli Sforza, ma ho molto amato alcuni dei suoi personaggi, Bellocchio e Leccamuffo in prima fila. Erano degli sfigati che vivevano più "di rape che di rapine". Il fumetto era divertentissimo (ricordo che ogni tanto se le davano di santa ragione, alla faccia del politically correct) e i disegni lasciavano il segno. Boselli Sforza avrà fatto poca animazione, eppure i suoi personaggi erano parecchio "animati". A volte mi chiedo che cosa manchi a noi "ggiovani" autori (disegnatori e sceneggiatori). Spesso mi rispondo che ci manca proprio una preparazione solida e non faccio della facile autocritica. Credo sia la verità pura e semplice. Siamo il risultato di una tempesta di immagini, abbiamo visto tutti i film e letto tutti i fumetti, ma ci fermiamo ad analizzare quello che facciamo solo dopo averlo fatto. Lo so, sembra un discorso da Maurizo Costanzo Show per accalappiare un po' di applausi, ma è la verità: ci manca la bottega e, soprattutto, l'umiltà.
Oltre alla preparazione specifica nell'ambito "fumetto", questa di Boselli Sforza è una generazione che ha una formazione culturale di fronte alla quale provo sempre un po' di vergogna. So di avere una cultura media, ma quando mi è capitato di parlare con questo genere di autori ho sempre temuto che da un momento all'altro la chiacchierata si spostasse su argomenti storici (sarà che hanno conosciuto eventi ben più epocali dei nostri, 11 settembre incluso, ma sono tutti ferratissimi in materia) o letterari (sarà che la scuola un tempo funzionava in un altro modo, sarà che avevano meno occasioni di svago, ma questi sin da bambini hanno letto praticamente tutti i classici).
Al loro cospetto il rischio di risultare incompetente e, parlo per me, pressapochista a volte è persino paralizzante. Non lo dico neanch'io per fare facile autocritica, è la verità.
Aggiungo che, sempre per quel che riguarda me, non ho nemmeno letto tanti fumetti, né visto poi tanti film. Men che meno letto caterve di libri. Cerco di rimediare, ma è un rimedio "coatto": lo faccio (leggo, m'informo, studio) perché è necessario per il mio lavoro (ma anche, per fortuna, per passione). Non per fare sociologia spicciola, ma nel caso di Boselli Sforza e di tanti altri autori di quella generazione la mia impressione è che, forse per l'assenza o il minor impatto sociale della televisione (e men che mai di internet), i "ragazzi" nati in quegli anni avessero una curiosità fortissima, una sete di conoscenza che sembrava sempre inappagata.
Quella sete alla nostra generazione manca e, a occhio e croce, la generazione che sta subentrando mi sembra meno assetata della nostra.
Hai ragione Fab, la penso come te. E mi correggo: quando dico che abbiamo letto e visto tutto, intendo dire che forse abbiamo la netta "sensazione" di averlo fatto. A forza di guardare telefilm, di giocare con i videogiochi, di leggere fumetti, crediamo di averne assorbito automaticamente le trame e di essere capaci di replicarle.
Anch'io cerco giornalmente di colmare i miei vuoti e non credo che mi basterà una vita per farlo.
La sensazione di sembrare pressapochista e incompetente poi è sempre presente. Io mi sentivo così quando, all'Accademia Disney, chiedevo lumi a un altro grande del fumetto: Giovan Battista Carpi. Nel momento in cui parli con giganti del genere, raramente ti senti adeguato.
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